Per comprendere appieno la vicenda che si sta consumando in queste ore in Afghanistan e che vede su due barricate contrapposte l’organizzazione italiana Emergency da un lato ed il governo Karzai dall’altro, che riversa sulla prima accuse di golpismo, è necessaria la conoscenza di due materie fondamentali: geografia e storia.
La locazione è Lashkar Gah, capoluogo della provincia di Helmand. La regione è tra quelle a maggiore densità di truppe ribelli al governo Karzai. E’ il teatro della strage di Sangin, il villaggio dove il 23 agosto 2008 le truppe britanniche presero a cannonate un matrimonio civile provocando decine di morti e feriti. E’ il luogo in cui hanno perso la vita 17 civili in 3 giorni sotto il fuoco dei missili statunitensi nel febbraio scorso.
Ed è la regione il cui capoluogo può fregiarsi della presenza dello stadio di calcio costruito con soldi americani ed intitolato al Presidente in carica, Hamid Karzai. Il Karzai Stadium, appunto.
La storia è quella su cui volge il proprio attento sguardo la Procura di Roma. Ed è una storia risalente a 2 anni fa esatti e che fa riferimento al sequestro da parte dei Taliban e la liberazione da parte di Emergency dell’inviato di Repubblica, Daniele Mastrogiacomo.
La storia recente appare molto poco chiara. I dati di fatto sono minimi: tre operatori di Emergency - Matteo Dell’Aira, coordinatore medico, Marco Garatti, chirurgo, Matteo Pagani, tecnico della logistica - assieme ad altri sei volontari dell’organizzazione sono stati tratti in arresto dalle forze dei servizi segreti afgani del National Directorate of Security.
L’accusa è quella di complotto a fini di omicidio a danno del governatore della provincia di Helmand, Goulab Mangal, e di omicidio dell’interprete sequestrato con Daniele Mastrogiacomo nel marzo 2007: Adjmal Nashkbandi.
La nebbia, le contraddizioni e le menzogne appaiono molto più indicative dei fatti inconfutabili. Il blitz che ha portato all’arresto e alla presunta individuazioni di esplosivi nell’ospedale di Emergency a Lashkar Gah vede la partecipazione delle forze Isaf della NATO; il Patto Atlantico nega ogni responsabilità, nonostante il video girato negli istanti dell’arresto che mostra la presenza delle truppe NATO ed il possesso del cellulare di Matteo Dell’Aira nelle mani delle forze britanniche Isaf. La dichiarazione ufficiale rilasciata dal portavoce del governo della provincia, Daud Hamadi, a Jerome Starkey del Times parla di "confessione" (termine ripetuto in due occasioni) dei tre arrestati. La parola (ed il concetto ad essa legato) viene smentita il giorno successivo e negata dagli stessi inquirenti.
I tre sono imputati, oltre che del tentato golpe, dell’omicidio di Nashkbandi. Eppure la morte di Nashkbandi è avvenuta durante il sequestro operato dai Taliban della zona agli ordini del comandante Dadullah, dopo la fallita trattativa con il governo Karzai per uno scambio di prigionieri, mentre i tre italiani si trovavano, allora, in tre zone differenti del pianeta.
E’ proprio l’insostenibile accusa dell’omicidio di Adjmal Nashkbandi che riporta lo sguardo dei più attenti su un drammatico conflitto consumatosi 24 mesi fa tra Gino Strada ed Emergency da un lato e Hamid Karzai, il governo afgano e le truppe NATO dall’altra e mai conclusosi. E’ questa "imputazione impossibile" a riportare a galla un passato che si prefigura come possibile "causa e ragione" di questa angosciante vicenda.
5 marzo 2007, mattina. La Toyota Corolla in cui siedono Sayed Agha, autista, Daniele Mastrogiacomo, giornalista, e Adjmal Nashkbandi, interprete, viene bloccata da truppe taliban tra Lashkar Gah ed il confine nord del paese.
Una settimana più tardi Gino Strada viene incaricato dal governo Prodi di aprire una via di contatto con i sequestratori, che avverrà in tempi brevissimi.
Il 19 marzo, alle ore 15:15 italiane, Daniele Mastrogiacomo viene liberato dai sequestratori, in cambio della restituzione di 5 taliban prigionieri nelle carceri afgane. La gioia per il rilascio viene funestata dalla cattura, da parte dei servizi afghani del NDS, di Ramatullah Hanefi, capo del personale nell’ospedale di Emergency e mediatore di successo tra Taliban e governi italiano e afghano. L’accusa, mai realmente formulata, è quella di complicità con i terroristi. La realtà è quella di un sequestro di Stato operato dall’esecutivo Karzai e durato 3 mesi, 6 volte la durata della prigionia di Mastrogiacomo.
Hanefi viene incaricato, con il nulla-osta di Karzai e della Nato, di portare avanti la trattativa con i sequestratori il 12 aprile. Sette giorni più tardi il sequestro si conclude con l’accordo tra Karzai e i taliban di Dadullah. Lo stesso giorno, improvvisamente, Hanefi diviene "responsabile unico" della trattativa e fiancheggiatore dei terroristi. E per questo costretto ad una prigionia interminabile senza colpa.
Il 6 aprile Hamid Karzai scarica ogni responsabilità dello scambio sull’esecutivo Prodi, annunciando che mai più ripeterà un atto simile (promessa confermatasi con il rifiuto di trattare per liberare l’interprete Nashkbandi, sgozzato dai taliban 2 giorni dopo). E difende il "sequestro istituzionale" di Hanefi.
5 giorni più tardi l’operatore di Emergency, prigioniero dei servizi, viene definito "fiancheggiatore dei taliban e di Al Qaeda" da Amirullah Saleh, capo dell’NDS, lo stesso ente responsabile degli arresti di questi giorni.
Il 25 aprile funzionari di polizia entrano nell’ospedale Emergency di Lashkar Gah e chiedono la consegna, rifiutata, di tutti i passaporti. Emergency è costretta ad abbandonare lo stabile ed il paese.
Il 6 maggio tutti gli ospedali di Emergency vengono requisiti ed occupati.
Un mese più tardi, il 19 giugno 2007, Hanefi viene liberato, dopo 90 giorni di prigionia. Innocente senza accusa. Senza neanche uno straccio di scusa formale.
Emergency, non senza fatiche e problemi, torna a mettere piede nella terra dell’onnipotente Hamid Karzai.
Oggi, altri volontari di Emergency vengono tratti in arresto dalle forze di sicurezza afghane. La certezza della colpevolezza, espressa due anni fa senza alcuna prova, viene ribadita oggi dagli stessi personaggi di un tempo. Il governo di ieri chiedeva rapidità al governo afghano. Il governo di oggi fa altrettanto. E rilancia, però, in diverse forme (Frattini, La Russa, Gasparri) le accuse mosse all’organizzazione di Gino Strada.
Due anni fa Emergency fu costretta ad abbandonare il paese. Oggi accade di nuovo.
Ciò a cui mai arrivò il regime del Mullah Omar (la cacciata di Emergency dal territorio afghano) è riuscito in ben due episodi al "democratico governo" di Hamid Karzai.
La seguente frase è datata 26 maggio 2007, un mese prima del rilascio di Rahmatullah Hanefi da parte dei servizi e 2 mesi dopo la liberazione di Mastrogiacomo.
Noi diamo fastidio: perché portiamo una sanità di alto livello e gratuita nei paesi dove andiamo e perché agiamo senza nessuna distinzione, curiamo chiunque si presenti alla nostra porta. Questo al governo afgano non piaceva. In più, Emergency ha fatto opera di testimonianza raccontando, con foto e parole, quello che davvero accade in Afghanistan e chi sono i presunti Taliban uccisi nei raid della Nato e delle forze locali: ragazzini di undici, a volte sei, anni.
Teresa Sarti Strada (28 marzo 1946 - 1 settembre 2009), Presidente di Emergency.
La locazione è Lashkar Gah, capoluogo della provincia di Helmand. La regione è tra quelle a maggiore densità di truppe ribelli al governo Karzai. E’ il teatro della strage di Sangin, il villaggio dove il 23 agosto 2008 le truppe britanniche presero a cannonate un matrimonio civile provocando decine di morti e feriti. E’ il luogo in cui hanno perso la vita 17 civili in 3 giorni sotto il fuoco dei missili statunitensi nel febbraio scorso.
Ed è la regione il cui capoluogo può fregiarsi della presenza dello stadio di calcio costruito con soldi americani ed intitolato al Presidente in carica, Hamid Karzai. Il Karzai Stadium, appunto.
La storia è quella su cui volge il proprio attento sguardo la Procura di Roma. Ed è una storia risalente a 2 anni fa esatti e che fa riferimento al sequestro da parte dei Taliban e la liberazione da parte di Emergency dell’inviato di Repubblica, Daniele Mastrogiacomo.
La storia recente appare molto poco chiara. I dati di fatto sono minimi: tre operatori di Emergency - Matteo Dell’Aira, coordinatore medico, Marco Garatti, chirurgo, Matteo Pagani, tecnico della logistica - assieme ad altri sei volontari dell’organizzazione sono stati tratti in arresto dalle forze dei servizi segreti afgani del National Directorate of Security.
L’accusa è quella di complotto a fini di omicidio a danno del governatore della provincia di Helmand, Goulab Mangal, e di omicidio dell’interprete sequestrato con Daniele Mastrogiacomo nel marzo 2007: Adjmal Nashkbandi.
La nebbia, le contraddizioni e le menzogne appaiono molto più indicative dei fatti inconfutabili. Il blitz che ha portato all’arresto e alla presunta individuazioni di esplosivi nell’ospedale di Emergency a Lashkar Gah vede la partecipazione delle forze Isaf della NATO; il Patto Atlantico nega ogni responsabilità, nonostante il video girato negli istanti dell’arresto che mostra la presenza delle truppe NATO ed il possesso del cellulare di Matteo Dell’Aira nelle mani delle forze britanniche Isaf. La dichiarazione ufficiale rilasciata dal portavoce del governo della provincia, Daud Hamadi, a Jerome Starkey del Times parla di "confessione" (termine ripetuto in due occasioni) dei tre arrestati. La parola (ed il concetto ad essa legato) viene smentita il giorno successivo e negata dagli stessi inquirenti.
I tre sono imputati, oltre che del tentato golpe, dell’omicidio di Nashkbandi. Eppure la morte di Nashkbandi è avvenuta durante il sequestro operato dai Taliban della zona agli ordini del comandante Dadullah, dopo la fallita trattativa con il governo Karzai per uno scambio di prigionieri, mentre i tre italiani si trovavano, allora, in tre zone differenti del pianeta.
E’ proprio l’insostenibile accusa dell’omicidio di Adjmal Nashkbandi che riporta lo sguardo dei più attenti su un drammatico conflitto consumatosi 24 mesi fa tra Gino Strada ed Emergency da un lato e Hamid Karzai, il governo afgano e le truppe NATO dall’altra e mai conclusosi. E’ questa "imputazione impossibile" a riportare a galla un passato che si prefigura come possibile "causa e ragione" di questa angosciante vicenda.
5 marzo 2007, mattina. La Toyota Corolla in cui siedono Sayed Agha, autista, Daniele Mastrogiacomo, giornalista, e Adjmal Nashkbandi, interprete, viene bloccata da truppe taliban tra Lashkar Gah ed il confine nord del paese.
Una settimana più tardi Gino Strada viene incaricato dal governo Prodi di aprire una via di contatto con i sequestratori, che avverrà in tempi brevissimi.
Il 19 marzo, alle ore 15:15 italiane, Daniele Mastrogiacomo viene liberato dai sequestratori, in cambio della restituzione di 5 taliban prigionieri nelle carceri afgane. La gioia per il rilascio viene funestata dalla cattura, da parte dei servizi afghani del NDS, di Ramatullah Hanefi, capo del personale nell’ospedale di Emergency e mediatore di successo tra Taliban e governi italiano e afghano. L’accusa, mai realmente formulata, è quella di complicità con i terroristi. La realtà è quella di un sequestro di Stato operato dall’esecutivo Karzai e durato 3 mesi, 6 volte la durata della prigionia di Mastrogiacomo.
Hanefi viene incaricato, con il nulla-osta di Karzai e della Nato, di portare avanti la trattativa con i sequestratori il 12 aprile. Sette giorni più tardi il sequestro si conclude con l’accordo tra Karzai e i taliban di Dadullah. Lo stesso giorno, improvvisamente, Hanefi diviene "responsabile unico" della trattativa e fiancheggiatore dei terroristi. E per questo costretto ad una prigionia interminabile senza colpa.
Il 6 aprile Hamid Karzai scarica ogni responsabilità dello scambio sull’esecutivo Prodi, annunciando che mai più ripeterà un atto simile (promessa confermatasi con il rifiuto di trattare per liberare l’interprete Nashkbandi, sgozzato dai taliban 2 giorni dopo). E difende il "sequestro istituzionale" di Hanefi.
5 giorni più tardi l’operatore di Emergency, prigioniero dei servizi, viene definito "fiancheggiatore dei taliban e di Al Qaeda" da Amirullah Saleh, capo dell’NDS, lo stesso ente responsabile degli arresti di questi giorni.
Il 25 aprile funzionari di polizia entrano nell’ospedale Emergency di Lashkar Gah e chiedono la consegna, rifiutata, di tutti i passaporti. Emergency è costretta ad abbandonare lo stabile ed il paese.
Il 6 maggio tutti gli ospedali di Emergency vengono requisiti ed occupati.
Un mese più tardi, il 19 giugno 2007, Hanefi viene liberato, dopo 90 giorni di prigionia. Innocente senza accusa. Senza neanche uno straccio di scusa formale.
Emergency, non senza fatiche e problemi, torna a mettere piede nella terra dell’onnipotente Hamid Karzai.
Oggi, altri volontari di Emergency vengono tratti in arresto dalle forze di sicurezza afghane. La certezza della colpevolezza, espressa due anni fa senza alcuna prova, viene ribadita oggi dagli stessi personaggi di un tempo. Il governo di ieri chiedeva rapidità al governo afghano. Il governo di oggi fa altrettanto. E rilancia, però, in diverse forme (Frattini, La Russa, Gasparri) le accuse mosse all’organizzazione di Gino Strada.
Due anni fa Emergency fu costretta ad abbandonare il paese. Oggi accade di nuovo.
Ciò a cui mai arrivò il regime del Mullah Omar (la cacciata di Emergency dal territorio afghano) è riuscito in ben due episodi al "democratico governo" di Hamid Karzai.
La seguente frase è datata 26 maggio 2007, un mese prima del rilascio di Rahmatullah Hanefi da parte dei servizi e 2 mesi dopo la liberazione di Mastrogiacomo.
Noi diamo fastidio: perché portiamo una sanità di alto livello e gratuita nei paesi dove andiamo e perché agiamo senza nessuna distinzione, curiamo chiunque si presenti alla nostra porta. Questo al governo afgano non piaceva. In più, Emergency ha fatto opera di testimonianza raccontando, con foto e parole, quello che davvero accade in Afghanistan e chi sono i presunti Taliban uccisi nei raid della Nato e delle forze locali: ragazzini di undici, a volte sei, anni.
Teresa Sarti Strada (28 marzo 1946 - 1 settembre 2009), Presidente di Emergency.
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