sabato 20 agosto 2011

TRIBUNALE MINORILE: QUALE GARANZIA PER I MINORI?


Pregherei la massima diffusione di questo interessante articolo, nella speranza che arrivi agli "addetti ai lavori" e all'opinione pubblica. Ringrazio la dott.ssa Parisi per la fiducia. Giuseppina

Come si può dedurre da questo articolo della dott.ssa Parisi Francesca, anche gli addetti ai lavori si rendono conto di quanto sia squilibrato e ingiusto il sistema giudiziario che si occupa del futuro dei minori.
Dr.ssa Francesca Parisi
Psicologo clinico             
                                  CTU e Perito presso il Tribunale di Civitavecchia        

   TRIBUNALE MINORILE: QUALE GARANZIA
Spunti e riflessioni critiche


Negli ultimi anni, tra gli addetti ai lavori, si è acceso un forte dibattito circa l’agire e l’operare della magistratura minorile, autrice, molto frequentemente, di provvedimenti criticati da più parti per essere ormai diventati il risultato di apprezzamenti personali dei giudici e delle loro idee sulla famiglia, basate su opinioni non verificabili con il conseguente risultato di rendere tale istituto anacronistico e pericoloso.
La cronaca registra troppo spesso situazioni drammatiche in cui da madri, padri e nonni vengono allontanati figli e nipoti con collocazioni in istituti o sistemazioni analoghe, vietando il più delle volte, qualsiasi tipo di contatto anche in ambiente protetto.
Tali decisioni, nella quasi totalità dei casi, omettendo la preventiva audizione degli interessati e senza procedere ad una debita ed approfondita istruttoria.
L’assenza di un rappresentante legale degli interessi dei minori fa sì che il giudice minorile sia nel contempo organo giudicante e portatore dell’interesse superiore del minore, con la conseguenza che, troppo spesso, in modo aprioristico e preconcetto, la voce del genitore, che viene a trovarsi in contrapposizione con il bambino davanti al magistrato, venga disattesa, quando neppure audita.
Quest’ultima ipotesi si verifica oramai quale prassi quando il procedimento avanti al Tribunale dei Minori abbia inizio ad istanza del Pubblico Ministero presso la Procura della Repubblica Minorile.
Il PM formula delle proprie istanze, di solito di sospensione o di decadenza della potestà genitoriale e di pedissequo affidamento del minore ai servizi sociali, di cui il Tribunale Minorile, in accoglimento, provvede spesso senza aver dato modo alla famiglia naturale di far ascoltare le proprie ragioni.
Il procedimento minorile è governato dai principi della Camera di Consiglio, composta da due magistrati togati e da due onorari, laureati in psicologia o in discipline affini.
Peculiarità quest’ultima che, voluta al fine di far sì che la decisione non fosse frutto esclusivamente del pensiero tecnico-giuridico del magistrato.
L’esperto infatti, non è nella veste di ausiliario del Giudice, di cui questo si avvale, pur conservando la propria autonomia decisionale, per sopperire alla propria non conoscenza tecnica, ma è al contempo colui che delibera il provvedimento.
Apporto specialistico, quello dei magistrati onorari, che ben potrebbe essere offerto dai consulenti tecnici, operanti nel contraddittorio con quelli di parte, nominati dal Giudice Ordinario.
Oggi la procedura in Camera di Consiglio seguita dal Tribunale Minorile lede pesantemente i diritti costituzionali della difesa e del contraddittorio, dettati dagli articoli 24 e 111, comma 2 della Costituzione, nonostante vengano codificati quali principi primari inderogabili per ogni processo.
Frequenti sono le fattispecie in cui viene segnalato che il minore potrebbe essere vittima di violenza e il Tribunale dei Minori, senza neppure convocare la famiglia, procede all’allontanamento del minore lasciando i genitori soli a protestare la loro innocenza, il loro dramma, una violazione del diritto naturale.
Troppo spesso il Giudice Minorile nella sua operatività incarica il servizio sociale di effettuare un’indagine sul minore a “ rischio” e sul nucleo familiare.
Nella mia consolidata esperienza professionale mi sono trovata ad affrontare dei casi istruiti presso il Tribunale Minorile, dove sono stati attivati i servizi sociali per formulare una “diagnosi”, per pervenire a una “prognosi” e per approntare gli interventi di competenza.
Le numerose relazioni di cui ho letto tanto in questi anni di lavoro, sono sempre state redatte a firma dell’assistente sociale e mai da un esperto in psicologia o discipline affini, con comprovata esperienza sulla materia.
Ho riscontrato un’enorme superficialità ed incompetenza nel modus operandi di queste persone, nel fornire valutazioni tecniche al Giudice Minorile, che dovrebbero essere utili a quest’ultimi al fine dell’emissione dei provvedimenti nell’esclusivo interesse del minore.
Troppo frequentemente ho assistito a giudizi e valutazioni emessi dall’assistente sociale, che dilagavano prepotentemente dal proprio ruolo e dal proprio titolo professionale, configurando un vero e proprio abuso della professione.
Ho letto relazioni di assistenti sociali tessute del linguaggio e degli strumenti propri della dottrina psicologica, arrivando persino a somministrare dei test.
Mi è capitato troppo spesso di incorrere in valutazioni su soggetti interessati non oggettivizzate da alcun accertamento tecnico- specialistico, veder fornire interpretazioni sulla scorta di eccessivi pregiudizi personali, senza aver debitamente provveduto ai riscontri utili e necessari all’approfondimento della vicenda familiare in questione.
I bambini spesso vengono allontanati dal proprio nucleo familiare perché l’abitazione in cui vivono, visitata dall’assistente sociale, viene ritenuta poco spaziosa e non decorosa o perché il minore, in quanto obeso, è sicuramente vittima dell’incuria genitoriale.
Un legame affettivo dei genitori nei confronti del figlio, giudicato eccessivo o troppo permissivo da un assistente sociale, fa sì che il Tribunale Minorile allontani quel bambino dalla famiglia e magari lo collochi presso una struttura protetta, senza che venga presa in considerazione la legittima possibilità di un affidamento ai nonni o ad altre figure parentali di riferimento del minore.
Capita anche che venga audita solo la voce di un genitore e dato per certo solo da quanto riferito da questi ultimi, per essere sufficiente una segnalazione all’autorità competente.
Magari, prima di questo eccessiva manovra denunziatoria, forse sarebbe opportuno ascoltare anche l’altro genitore e se utile esaminare anche il minore, per comprendere se si trova realmente in una situazione di rischio di incuria o di maltrattamento.
Ritengo che sarebbe utile rispettare delle condizioni minime per l’allontanamento del minore dall’ambiente familiare, posto che la normale collocazione del minore è nella famiglia d’origine e che va presupposto fino a prova contraria che la famiglia voglia il minore presso di sé.
E’ necessario verificare che il minore sia il danneggiato, che l’attuale sistemazione del minore non sia modificabile in modo autonomo e che l’allontanamento sia meno dannoso della permanenza in famiglia.
Ma chi dovrebbe essere incaricato a stabilire preventivamente di cui sopra?
La risposta a questo inquietante quesito mi trova concorde nel ritenere non idonea certo la figura di un assistente sociale, ma quella di uno psicologo o specialista in discipline affini, a cui il Giudice Minorile dovrebbe conferire il ruolo di CTU durante il procedimento giudiziario per l’acquisizione di elementi e valutazioni tecniche omogenee e complete e soprattutto dotate della dovuta competenza specialistica.
La nomina di un CTU è attività discrezionale dell’autorità giudiziaria, ma in questi anni di esperienza lavorativa, ho preso atto che la magistratura ordinaria si avvale sempre di più, ritenendolo necessario, del contributo dell’ausiliario tecnico nei procedimenti civili di affidamento dei minori nei casi di separazione e divorzio, nominando uno psicologo e non certo un assistente sociale.
Il magistrato è chiamato ad emettere i provvedimenti di affidamento della prole, ben consapevole che il suo sapere giuridico non sempre gli consente la conoscenza dovuta di quel contesto familiare con tutte le implicazioni psicologiche, relazionali ed affettive di cui si connatura.
Per cui sopra, il giudice ritiene opportuna la disposizione di una consulenza tecnica d’ufficio, che si configura come un vero e proprio mezzo istruttorio, garantendo, con la presenza di tutti gli attori coinvolti nella vita di quel bambino (genitori, minore, nonni, maestre….) e con l’intervento previsto dei CTP, il diritto inviolabile del contraddittorio.
Una prassi giurisprudenziale quella del Tribunale Minorile, in tema di allontanamento dei minori dalle famiglie di origine, che utilizza con eccessiva discrezionalità, e perciò con troppa ampiezza, i poteri conferiti da una legge estremamente imprecisa  ed indeterminata, quanto ai limiti di intervento delle autorità statali nel rapporto fra genitori e figli.
Un siffatto orientamento peraltro configura il più delle volte, anche una violazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (Art.8) e della stessa Convenzione per la tutela dei diritti del fanciullo.
Si tratta infatti, in entrambi i casi, di fonti normative che sono ad ogni effetto leggi dello Stato, ma la cui osservanza non si riesce fin qui ad assicurare in maniera tempestiva e puntuale da parte dei nostri Tribunali.
Riporterò di seguito due casi di cui mi sono occupata, emblematici della  critica situazione che sono andata finora analizzando.
La prima storia mi vede coinvolta su proposta di un avvocato, che mi ha richiesto di esprimere un parere extragiudiziale per ottenere l’affidamento di un bambino da parte dei nonni materni.
Il piccolo D. nasce da una coppia di fatto, viene allontanato all’età di circa 3 anni dai genitori, perché ritenuti inidonei al suo accudimento, in base a relazioni effettuate dai servizi sociali, considerate complete e tecnicamente valide dal Giudice Minorile, ai fini del provvedimento di collocazione del minore presso una famiglia affidataria.
I contatti fra il bambino e i suoi genitori vengono drasticamente interrotti e limitati ad una visita mensile, con il controllo pregiudizievole dei genitori affidatari.
I nonni materni sempre molto vicini e presenti materialmente ed affettivamente nella vita del nipote, non sono stati per nulla contemplati come possibili e legittimi affidatari del bambino, nonostante la legge lo stabilisca.
Nulla è valso il loro ricorso presso il Tribunale Minorile, le udienze sostenute al cospetto del giudice per vedersi riconoscere i loro diritti, o meglio dire, il diritto superiore del minore a crescere nella propria famiglia, anche allorquando i genitori naturali sono nella condizione materiale e psicologica di non potersi prendere cura di lui.
Questi nonni hanno presentato certificazioni attestanti la loro piena idoneità psicofisica, hanno dimostrato la loro adeguatezza economica e soprattutto il loro forte amore verso il nipote.
Tutto ciò non è stato ritenuto soddisfacente per il giudizio del magistrato, in quanto i servizi sociali, nelle loro numerose relazioni continuavano ripetutamente ad esprimere giudizi negativi per un affido di D. ai nonni, non suffragate da significativi elementi probatori.
L’avvocato non riusciva ad avere un colloquio con il servizio sociale, in quanto rifiutavano ogni disponibilità in tal senso, non poteva nominare un suo consulente di parte, in quanto non era stata disposta una CTU.
Intanto D. cresceva nella “nuova famiglia” iniziando a manifestare i segni di un profondo disagio: ogni qualvolta che incontrava i nonni gli chiedeva  disperatamente di ritornare a casa, ma nessuno sembrava disposto a dar ascolto al suo profondo disagio.
Anche i genitori affidatari dicevano al bambino che loro ormai rappresentavano la sua famiglia , che doveva adattarsi a questa nuova realtà.
Il mio compito in questa triste vicenda è stato quello di redigere una mia relazione di parte, dopo aver debitamente effettuato valutazioni ed accertamenti specialistici , esaminando anche, quando l’avvocato è riuscito ad entrarne in possesso, le relazioni degli assistenti sociali.
Ho ritenuto necessario produrre mie note critiche e controdeduzioni su quanto erroneamente e discrezionalmente asserito dagli assistenti sociali, che si sono, peraltro, succeduti l’uno all’altro nel tempo, negli interventi su questa  delicata vicenda.
Con la viva speranza che il giudice mi ascoltasse, oltre che ad esaminare la mia relazione, sono riuscita a presenziare insieme all’avvocato ad una delle tante udienze, in cui ho avuto la fortuna di essere audita.
D. rischiava seriamente di essere posto nello stato di adozione, ma l’illuminato giudice, dopo qualche mese, decide per il rientro del bambino in famiglia, disponendo l’affido ai nonni, con prescrizione di interventi a sostegno psicologico del minore “danneggiato”.
Chi avrà danneggiato la psiche e la vita di questo bambino, in un periodo evolutivo così delicato ?
Lascio libera ed aperta ogni considerazione e riflessione.

L’altro caso, altrettanto drammatico, di cui ho finito di occuparmi da poco tempo per conto del Tribunale Ordinario in qualità di CTU, riguarda la storia di una separazione.
Il Giudice Ordinario, prima di emettere provvedimenti di affido della prole, ritiene opportuna la disposizione di una consulenza tecnica.
Vengo a conoscenza, sin dall’inizio del mio mandato, che in questa vicenda familiare è già in atto da qualche tempo l’intervento del Tribunale Minorile, il quale ha emesso dei provvedimenti molto restrittivi nei confronti del padre, consistenti nella frequentazione con i propri bambini ( A. di 5 anni e G. 2 anni) in contesto protetto, del divieto di avvicinarsi all’abitazione coniugale e ai luoghi frequentati dalla moglie e dai figli e di sottoporsi a cure psichiatriche.
La mia articolata e complessa indagine tecnica, mi ha portato a valutare che il padre non ha mai maltrattato i figli, che non è un soggetto che soffre di disturbi psicopatologici, che non è la persona violenta ed instabile emotivamente come descritta dalla moglie.
Quest’ultima, durante il periodo di conflittualità coniugale, si rivolge ai servizi sociali, esponendo la sua versione dei fatti in merito ai comportamenti fortemente aggressivi del marito.
L’assistente sociale segnala il caso alla Procura della Repubblica presso il Tribunale Minorile, il quale senza una debita e necessaria istruttoria, attiva il Tribunale Minorile, che solo dopo 4 mesi ascolta i due genitori ed adotta i provvedimenti nominati.
Questo padre, incredibilmente, non è stato mai ascoltato dall’assistente sociale, che invece si è preoccupato e si è fidato solo di ciò che ha raccontato la moglie, ritenendo opportuno, in base a questa esigua e personale rilevanza, di attivare la macchina giudiziaria, che poi ha agito solo in virtù di un mero potere discrezionale
Non ci si è preoccupati di effettuare un esame psicodiagnostico su questo padre e magari opportuno pure sulla madre, che comunque viene etichettato (non si comprende bene da chi) come insano psichicamente, tanto da prescrivergli interventi specialistici.
Questo uomo si va pure a curare, ma lo psichiatra gli dice che non ha nessun disturbo, anzi con tutti i problemi che si è trovato ad affrontare in questo ultimo periodo, fin troppo bene sta.
Anche le conclusioni a cui io pervengo, dopo aver effettuato scrupolosamente i miei accertamenti tecnici, che hanno richiesto tempo e notevole impegno, rilevano una piena idoneità genitoriale paterna.
Risultato questo, che non è stato ben gradito dalla moglie, da sempre sostenitrice dell’inaffidabilità del ruolo genitoriale paterno.
Credo che queste ultime parole ci facciano ben comprendere la genesi e l’evoluzione di questa vicenda familiare, umana e giudiziaria.
Questo papà è stato fortemente danneggiato come persona e come genitore, da una parte del sistema giudiziario e sociale troppo spesso indolente, incauto, incompetente a valutare i vissuti umani, soprattutto quelli sottaciuti dei bambini, sempre più rappresentanti la “minoranza silenziosa”nel coro degli adulti.
Quanto fin qui esposto merita delle attente riflessioni e considerazioni, che dovrebbero portare gli addetti ai lavori e la società civile a prendere delle posizioni ferme nelle sedi opportune.
Pensiamo soltanto che il Tribunale dei Minori è stato istituito nel 1934 con Decreto Regio per la tutela dei minori orfani di guerra, ma ci ritroviamo a distanza di troppi anni, in una condizione di immutata situazione legislativa, soprattutto per ciò che concerne l’ambito civilistico.
Qualche anno fa il ministro Castelli azzardò una proposta di legge per una drastica riforma legislativa del Tribunale Minorile, ma che non vide il consenso fra le parti politiche.
Ci fu pure un’altra proposta di legge di iniziativa popolare per la soppressione del Tribunale dei Minorenni ed istituzione di sezioni specializzate per gli affari familiari e per i minori presso il Tribunale Ordinario, ma che fu del tutto ignorata.
Oggi, in un momento storico in cui il Parlamento è intervenuto sui principi costituzionali al fine di riscriverli in chiave maggiormente garantista della parità delle parti processuali, questo Parlamento deve provvedere in maniera radicale ad affrontare il problema, poiché ci troviamo in questa situazione di urgenza, in cui la tempestività serve ad evitare ulteriori casi drammatici.
E’ necessario intervenire in modo risolutivo in tutte le problematiche minorili, con una legiferazione onde far sì che anche il diritto del minore a vivere nella propria famiglia naturale, diritto altresì riconosciuto da tutte le Convenzioni internazionali, laddove debba essere sacrificato, lo sia con le garanzie di difesa che il nostro ordinamento giuridico riconosce a tutti i soggetti di diritto.
Di seguito riporto alcuni articoli del testo della proposta di legge ad iniziativa popolare, a cui mi sento di aderire pienamente.

Art.1 “Il Giudice può pronunziare la decadenza della potestà quando risulta provato che il genitore ha ripetutamente trascurato o abusato dei relativi poteri con pregiudizio gravissimo del figlio”.

Art.3 “Quando i motivi di pericolosità previsti dagli articoli 330 e 333 risultano comprovati con riguardo ad entrambi i genitori, il Giudice deve sempre preferire l’affidamento del minore a quello tra i parenti che appaia maggiormente idoneo ad assicurare adeguata occasione di sviluppo psicofisico. L’allontanamento del minore dalla residenza familiare ed il conseguente affidamento a soggetto diverso da quelli fin qui indicati, può essere disposto laddove risulti evidente la prova che:

a)    il minore è esposto a rischio concreto ed attuale di violenze fisiche, sessuali o morali da parte di uno o entrambi i genitori;
b)    che non esiste nel contesto degli ascendenti di primo e secondo grado, o dei collaterali, alcun soggetto disponibile e idoneo ad assicurare adeguata occasione di sviluppo psicofisico per il minore.

Art.5  Tutti i procedimenti riguardanti i minori devono prevedere, pena la nullità, il contraddittorio delle parti interessate. In particolare il Giudice deve sentire personalmente sia il minore che i genitori.
Nell’ascoltare il minore il Giudice deve avvalersi dell’assistenza di consulente che disponga di idoneo titolo di studio e di comprovata esperienza, e deve dare conto in sede di motivazione delle aspirazioni e dei bisogni del minore stesso, dove ritenga di doverli disattendere. I servizi di assistenza sociale intervengono nei procedimenti riguardanti i minori soltanto in sede di esecuzione del provvedimento del Giudice e finchè ne dura l’efficacia fornendo assistenza e collaborazione entro i limiti che il Giudice stesso stabilisce caso per caso”:

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